Benevento-Torino, torna il campionato e il prof Fabrizio Bellone racconta come mai questa partita vada vissuta dal vivo e non in televisione

Domenica non guarderò la partita del Toro in Tv. Ho una gran voglia di vedere da vicino gli ultimi acquisti e non vedo l’ora di capire se Niang ha le caratteristiche giuste per inserirsi a fianco di Belotti, Iago e Ljajic. Attendo con curiosità la nuova coppia di difensori centrali, così come quella tra Rincon e Baselli, che insieme possono fare davvero molto bene. Vivo la settimana prima della trasferta di Benevento con grande trepidazione e con attesa frenetica, ma non posso guardare questa partita davanti ad uno schermo.

A Benevento si va a giocare sul terreno di una neopromossa, che non è mai stata in serie A. E’ una partita d’altri tempi, mi ricorda certe trasferte ad Ascoli negli anni ’70, oppure a Lecce negli anni ’80. Scendendo di una categoria, non è diversa da Licata con Fascetti. Ai più giovani potrebbe ricordare Gallipoli con Beretta, Crotone ai tempi di Lerda, Salerno con Colantuono, o la Frosinone di Papadopulo. Eventi di questo tipo vanno vissuti sul posto, come si faceva una vita fa. Erano situazioni in cui andavi a scoprire una prima volta, volevi vedere dal vivo se la tua squadra aveva la personalità giusta per reggere l’impatto, per fare la partita, per imporsi. Cose che la televisione non ti riesce a trasmettere, devi vederle di persona, sul campo.

Erano trasferte, quelle, che ti segnavano per sempre. Disagiate, infinite, non arrivavi mai. Conoscevi gente che non avresti, poi, più dimenticato. Ti sentivi uno dei pochi, un privilegiato, un fortunato, un eletto. Avevi progettato di andare fin là, ce l’avevi fatta e, alla fine, ti toccava un’altra sfacchinata devastante per rientrare a casa, appena in tempo per correre a scuola o a lavorare, sempre che non fossi riuscito a farti dare un giorno di ferie.

Se non potevi armarti e partire per una di quelle trasferte storiche, che ti cambiavano dentro, allora ti restava una sola alternativa: ti attaccavi alla radio. Quelle erano tutte partite che non potevano avere la dignità di “campo principale” di radio Rai, ma neppure ci si potevano avvicinare. Se “Minuto per minuto” ti dava soltanto aggiornamenti sporadici, allora cercavi una stazione privata. E nel commento del cronista cercavi di cogliere quello che già conoscevi, per averlo osservato nelle domeniche precedenti. Se ti parlava della sovrapposizione di un terzino, tu lo vedevi materialmente scendere lungo quella fascia per arrivare al cross; se ti diceva che le punte si incrociavano, tu intuivi con gli occhi quel movimento. Ti immaginavi quella partita, le tue orecchie erano occhi. Ti appiccicavi alla radiolina, sia che tu stessi in casa, sia che uscissi per andare al bar, in girula, o al cine con la ragazza. Ti fidavi del cronista e del suo commento, i suoi occhi erano le tue orecchie.

Poi sono arrivate le pay Tv ed è finito un mondo. Ogni cosa ha cominciato a cambiare il 29 agosto 1993, quando Telepiù ha trasmesso per la prima volta in diretta, a pagamento, il posticipo tra Lazio e Foggia. Nulla è più stato lo stesso nel giro di pochi anni, da quando qualsiasi partita di A o B viene irradiata in diretta. Nel giro di niente si è passati da tre minuti di sintesi in serata, che oggi chiamano highlights, a tutto di tutto. Gli highlights, certo, anche prima andavi a vederli, alla sera. Ma era come avere la conferma di quello che ti eri immaginato, con qualche piccola correzione, che serviva come feedback per le gare successive.

Con la pay Tv il calcio ha smarrito la sua fantasia, i tifosi hanno dimenticato la gioia del racconto e dell’impresa, il campionato ha perso il suo fascino, perché si è ulteriormente dilatata quella sperequazione che pure esisteva tra una squadra e l’altra. È inconcepibile vedere società che vogliono vincere la Champions chiedere al Governo italiano di metterle sullo stesso livello delle formazioni più ricche di Spagna, Germania e Inghilterra, senza rendersi conto che, così facendo, aumenterebbero ulteriormente la posizione di privilegio, di monopolio, di vantaggio assoluto di cui già godono oggi nel campionato nazionale. Già così possono permettersi di comprare il miglior giocatore di una diretta concorrente a metà stagione e farlo marcire in tribuna. Non importa se giocherà con loro, è fondamentale toglierlo alle altre e, magari, costruire un buon affare per un futuro ancora non ipotizzabile.

Non è questo il calcio che mi ha fatto innamorare. E neppure quello di chi posta sui social “A Madrid come a Licata, fieri di essere granata”, senza aver mai affrontato una vera trasferta. Chi ha vissuto quei tempi, se ha amato la sua squadra e il calcio in generale, sa che non può spaparanzarsi sul divano con gli occhi incollati allo schermo. La mia rinuncia alla poltrona per Benevento–Torino è il mio no al calcio moderno.


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McKenzie
McKenzie
6 anni fa

Bell’articolo, ma alcune delle partite ricordate sono da urlo e da storia triste del Toro. Licata, le varie Lecce, Gallipoli. Spero di non riviverle in quella maniera. Quindi andiamo, cipiglio e vittoria. E soprattutto tanto Toro

spettro73
6 anni fa

Bellissimo articolo che condivido totalmente. Per domenica inoltre grande rammarico. Purtroppo devo decidere le ferie con largo anticipo senza ancora conoscere il calendario. L’atmosfera sarà spettacolare a Benevento.

mabasta
mabasta
6 anni fa

Benevento e il Santa Colomba (si chiamava così lo stadio) per me significano l effimero ritorno in A del 1999 con Mondonico in panchina, il record di gol in B di Marcolino Ferrante e un gol pazzesco di Ciccio Artistico. Partita in campo neutro con la FidelisAndria (dove è finita?)

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